ci accolgono 2 ragazze che indossano costumi tradizionali ,ci fanno indossare delle collane di fiori, gelsomini freschi e una gerbera, che spigionano un profumo intenso, ecco la prima impressione fatta di sguardi, di profumi e sorrisi, l’avventura inizia sono pronta a raccogliere emozioni.
Racconti
Giugno 2013, inizia la mia avventura, un volo che partendo da Malpensa mi porta a Phnom Penh via Muscat e Bangkok.
Il viaggio dura 25 ore e all’arrivo nella capitale Cambogiana gli occhi fanno fatica a stare aperti, ma appena entro in aeroporto l’adrenalina entra in circolo, la stanchezza è solo un ricordo e inizio ad osservare con curiosità.
L’aeroporto è piccolo, pochi nastri per trasportare le valigie, prima di poter uscire dall’aeroporto le pratiche di immigrazione vengono sbrigate da diversi incaricati, tutto manualmente e con ordine, i nostri visti vengono compilati e attaccati nei passaporti, pagati in contanti 25 USD e ora finalmente abbiamo il permesso di varcare la dogana, non senza aver passato altri 2 controlli.
Ritirate le valige usciamo dall’aeroporto e incontriamo la nostra guida, si chiama Kanel un giovane cambogiano, è lui la persona che nei prossimi giorni ci svelerà tutti i segreti di questo ancora sconosciuto paese. Un ragazzo che parla l’italiano piuttosto bene, sguardo vispo e attento, ci studia come noi studiamo lui e ci sorride mentre ci invita a salire sul pullman.
Prima di salire 2 ragazze che indossano costumi tradizionali ci fanno indossare delle collane di fiori, gelsomini freschi e una gerbera, che spigionano un profumo intenso, ecco la prima impressione fatta di sguardi, di profumi e sorrisi, l’avventura inizia sono pronta a raccogliere emozioni .
Phnom Penh la capitale, come tutte le città del mondo se non la conosci risulta caotica, le vie sono piene di macchine, soprattutto di motorini occupati anche da tre persone per volta, come in Thailandia il Tuk Tuk , un carretto a 2, 3 posti trainato da una moto, è il mezzo di trasporto più comune e anche se nessuno rispetta la ben che minima regola il traffico scorre regolare in strade larghe anche fino a tre corsie.
In mezzo a tutto questo caos fatto di persone e mezzi il Palazzo Reale ci aspetta nel suo silenzio e in tutto il suo splendore. Mi stupisce come il rumore della strada non riesca a varcare la soglia del palazzo, sembra non avere il permesso o forse il coraggio di entrare. I giardini sono curatissimi e i colori dei fiori sono intonati ai colori del palazzo. L’oro dei tetti luccica nel sole.
Al lato di ogni scalinata si trova un serpente, alla base le sette teste, il corpo ne risale il lato terminando con la coda la cui punta si tende verso il cielo, ecco la rappresentazione dei Naga. Troveremo questa simbologia in ogni tempio che visiteremo.
Secondo una leggenda cambogiana infatti i Naga erano una razza di rettili che possedevano un grande regno nella regione dell’oceano Pacifico, una loro principessa sposò il primo re dell’antica Cambogia dando così origine al popolo cambogiano, ecco perché ancora oggi i cambogiani si considerano eredi dei Naga. Le teste possono essere pari o dispari, i dispari rappresentano l’energia maschile, l’infinito, l’eternità e l’immortalità mentre i numeri pari rappresentano la femminilità, la fisicità, la mortalità, la temporaneità e la Terra.
Dal Palazzo reale, attraversando un cancello, si passa nei giardini della Pagoda d’Argento, 5000 lastre d’argento ne ricoprono il suolo, ecco il motivo del suo nome. Al suo interno sono conservate una quantità enorme di statue rappresentanti il Buddha di diverse misure, da pochi centimetri a un paio di metri, dai diversi materiali come oro, cristallo, metalli poveri e preziosi e dalle numerose posizioni in cui viene raffigurato il Buddha.
Ma la cosa che più mi affascina sono gli Stupa della Principessa Kantha Bopha e del re Norodom, si tratta di monumenti spirituali che ne conservano le ceneri.
La nostra visita della città continua toccando il simbolo del periodo più cupo della storia Cambogiana, il museo de genocidio Tuol Sleng. Si tratta di una scuola superiore trasformata nel 1975 in una prigione e centro di interrogatori, nei 4 anni che seguirono circa 17.000 persone provenienti da tutto il paese furono imprigionate, torturate e uccise far le mura di questo edificio da parte del regime comunista dei Khmer rossi. Cambogiani contro cambogiani, colpevoli di portare occhiali, di aver conseguito un titolo di studio, professori di scuola, studiosi e molte persone considerate da Pol Pot, il leader dei Khmer Rossi, un pericolo per il suo regime, tacciati di spionaggio venivano deportati con tutta la famiglia, interrogati e uccisi.
All’interno delle celle, a memoria di quanto vi accadde, si possono vedere i letti a cui venivano legati i prigionieri, le celle minuscole in cui venivano fatti morire di fame, tracce di sangue sui muri nelle sale di tortura. La crudeltà umana in questo luogo è tutt’ora tangibile e le regole di sopravvivenza che si possono leggere sul cartellone che si trova nel suo cortile la rappresentano in pieno.
Dopo questa visita nel pullman che ci porta in albergo regna il silenzio, sono i nostri pensieri a farci compagnia…